Riciclabilità

Come valutare e certificare la riciclabilità degli imballaggi in carta e cartone

È una vera corsa alla riciclabilità, quella a cui stiamo assistendo negli ultimi mesi: brand grandi e piccoli stanno certificando la capacità degli imballaggi cellulosici da loro utilizzati a essere riciclati. Da un lato l’entrata in vigore della Direttiva SUP, dall’altro la crescente domanda di materiali “sostenibili” da parte di consumatori e retailer, stanno sottoponendo il settore a una forte pressione in termini di richiesta di “circolarità”.

L’industria cartaria, lo sappiamo, già vanta le migliori performance: con ben dieci anni di anticipo ha raggiunto gli obiettivi europei di riciclo, facendo registrare l’87% di imballaggi riciclati nel 2020. E il trend positivo non riguarda soltanto la quantità dei materiali inviati a recupero ma anche la loro qualità.

Fattore determinante, quello della qualità degli scarti cellulosici che tornano in cartiera. Poiché è esattamente qui che si disputa oggi la partita più importante per la circolarità di carta e cartone. L’obiettivo è ridurre lo scarto del “ciclo del riciclo”: come possiamo riuscirci?
Valutando e certificando il livello di riciclabilità degli imballaggi cellulosici.

Come si valuta la riciclabilità degli imballaggi?

Lo standard per la determinazione dei parametri di riciclabilità di materiali e prodotti a prevalenza cellulosica è stabilito dalla norma UNI 11743:2019, che fornisce le indicazioni per riprodurre in laboratorio quanto avviene nel processo di riciclo industriale.

Il test di riciclabilità di materiali e prodotti in carta e cartone può essere suddiviso nelle seguenti fasi:

FASE 1: Spappolamento

Si inizia con lo spappolamento eseguito secondo lo standard UNI EN ISO 5263-1 per mezzo di un pulper di laboratorio in questo modo:

  • 50 g di campione, tagliato in pezzi di 3 cm per 3 cm;
  • Si diluiscono le sezioni così ottenute in 2 litri di acqua a 40 °C;
  • Si attiva il pulper per 10 minuti di prova (30.000 rivoluzioni).

A seconda delle caratteristiche del campione si possono fare due “spappolate” di 25 g. L’impasto che si ottiene viene poi diluito a 5 litri, in modo da renderlo simile a quello che si ritrova in cartiera.

FASE 2: Screening

Si passa ora a effettuare il primo screening cioè l’epurazione del campione ottenuto per determinarne lo scarto grossolano per mezzo di uno strumento detto Somerville: una piastra con fori di 5 mm sulla quale viene posato l’impasto e convogliato un flusso di acqua di rete di 8 litri/minuto per un tempo di 5 minuti.

In questo modo si separa lo scarto grossolano dalle fibre cellulosiche, ottenendo il primo impasto accettato, che viene raccolto in uscita al Somerville fino al raggiungimento di un volume di 10 litri.

FASE 3: Analisi dello scarto

Prima di procedere con le prove successive, si recupera lo scarto grossolano che resta sulla piastra, si filtra per mezzo di carta da filtro, si secca in stufa a 105 °C e si pesa.

Lo scarto è composto da materiali non cartacei come plastica e metalli: sono essenziali a garantire le performance richieste all’imballaggio “in vita” ma, una volta avviato a recupero, possono ostacolarne o impedirne la riciclabilità.

Determinare la percentuale di questi scarti, rispetto alla concentrazione delle fibre di cellulosa recuperate nel primo impasto accettato, consente di quantificare la qualità del materiale ai fini del riciclo.

FASE 4: Analisi delle impurità

Si passa quindi a verificare i fiocchi di fibre, cioè a quantificare le impurità residue nell’impasto accettato quali piccoli elementi di plastica e, in particolare, grumi di fibre.

Si tratta di un passaggio importante, poiché consente di indentificare i materiali difficili da disintegrare ovvero quelli più resistenti all’acqua e che, quindi, possono ostacolare il processo di preparazione dell’impasto compromettendo la riciclabilità del materiale.

FASE 5: Verifica del foglio

Il contenuto dei fiocchi di fibre viene misurato attraverso un secondo e un terzo screening con il Somerville, riducendo progressivamente le fessure della piastra, per individuare i macrostickies ovvero le particelle adesive residue. Ciò che resta sulla piastra viene recuperato su di una carta da filtro, che viene poi valutata attraverso uno scanner per calcolare la superficie delle particelle adesive inferiori a 2 mm.

Il passo successivo misura l’adesività dei foglietti, valutando la presenza o assenza della stessa.

Infine, si effettua la valutazione visiva delle disomogeneità per mezzo del confronto con degli standard di riferimento.

Come certificare la riciclabilità?

Sulla base delle misurazioni effettuate, attenendosi allo schema di valutazione Aticelca 501, è possibile attribuire una scala di riciclabilità suddivisa in 5 livelli, identificato ognuno da un’apposita icona registrata “Riciclabile con la carta – Aticelca® 501”: A+, A, B, C, Non riciclabile.

Sono già in molti a rivolgersi ai laboratori di Ecol Studio per eseguire il test di riciclabilità qualificato da Aticelca, consapevoli del valore aggiunto di questa certificazione sui mercati nazionale e internazionale. Per maggiori informazioni sul test di riciclabilità, consultare il sito di Ecol Studio.