Energia

Il piano nazionale e la decarbonizzazione

Lo spirito di adattamento alle necessità di restare competitive rispetto a mercati esteri ha posto le aziende del settore cartario in una posizione di avanguardia nell’efficientamento energetico e nella riduzione di consumi e sprechi di energia. Ora però tutti i settori, non solo quello industriale, sono chiamati a fare ancora di più per rispondere agli obiettivi – sempre più ambiziosi – posti dall’Europa per la decarbonizzazione. L’Italia ha redatto il proprio piano, il PNIEC, che a giugno 2024 andrà inviato in forma definitiva alla Commissione europea. Ecco cosa contiene.

La sfida per la decarbonizzazione riguarda l’Italia nel suo complesso ma è particolarmente importante per il suo settore cartario. Uno sforzo forse anche più sfidante che per altri Paesi europei. «Il nostro settore è fondamentalmente azionato a gas naturale – che tra l’altro è il combustibile a minor impatto ambientale – che in questi anni ci ha consentito di restare competitivi e di implementare al meglio la cogenerazione ad alto rendimento (CAR)». Parla così Alessandro Bertoglio, responsabile Energia, clima e trasporti di Assocarta al convegno Miac Energy 2023 dove si discute di decarbonizzazione, spiegando che il gas naturale non è solo una fonte energetica indispensabile per il ciclo di produzione della carta, ma anche il motore del riciclo. «Non avendo risorse forestali significative, siamo diventati un Paese con livelli molto elevati di riciclo e siamo stati capaci di adattare la nostra industria alle disponibilità che avevamo». Ad oggi la decarbonizzazione può contare su molteplici combinazioni di soluzioni, «si passa dalla sostituzione del gas naturale con altri tipi di gas, i cosiddetti green gas, al biometano piuttosto che all’idrogeno, in futuro, o all’elettrificazione». Nel frattempo, ricorda Bertoglio, il settore è costantemente impegnato nel miglioramento dell’efficienza energetica che continua ad essere la leva che, di fatto, consente di risparmiare energia ed emissioni di gas a effetto serra.

Accanto alle soluzioni a idrogeno si stanno sviluppando anche nuove frontiere, «a livello europeo si iniziano a esplorare le diverse strade per non avere emissioni di CO2. Si parla, per esempio, persino di ritorno al nucleare e molte aziende europee del settore cartario guardano con interesse ad applicazioni con questa nuova generazione nucleare».

I tre fronti del PNIEC: emissioni

Cosa accade in Italia e, soprattutto, cosa prevede la nostra normativa è stato l’oggetto dell’intervento al convegno di Luca Benedetti, responsabile Studi e monitoraggio Piano energia e clima di GSE. Il Piano nazionale integrato energia e clima o PNIEC, ha ricordato Bertoglio, è la bussola che indica il percorso che occorre compiere per arrivare al Net Zero emissions nei prossimi anni.

L’elaborazione del PNIEC – la cui più recente versione è stata inviata alla Commissione europea a Bruxelles – discende dall’insieme di obiettivi definiti nella regolamentazione a livello comunitario che tutti gli Stati membri sono stati chiamati a recepire. Per raggiungerli i settori principali su cui agire sono tre: emissioni, rinnovabili, efficienza.

Sul fronte delle emissioni, spiega Benedetti, il dato rilevato al 2021 per quanto riguarda la loro riduzione nei settori coperti dalla normativa ETS – il sistema europeo di scambio di quote di emissione istituito dalla direttiva 2003/87/CE (direttiva ETS) detto EU ETS – indica che siamo arrivati a -47% rispetto al dato 2005, tuttavia a livello europeo l’obiettivo è fissato al 62%. Il “55” indicato come percentuale di obiettivo nel pacchetto “Fit for 55” è in realtà un combinato tra il settore ETS e quello non-ETS; scindendo però i due settori, il target del primo è appunto 62%.

«Il settore ETS è coperto da un mercato regolato a livello europeo». È definito “cap&trade” in quanto fissa un tetto massimo (cap) al livello complessivo delle emissioni consentite ai soggetti vincolati, contemporaneamente permette ai partecipanti di acquistare e vendere sul mercato (trade) quote di CO2, all’interno del limite stabilito. Coinvolge, a livello europeo, oltre 11mila operatori e interessa circa 1.200 impianti italiani, di cui il 71% nel settore manifatturiero.

«La maggior parte delle emissioni che riguarda il settore ETS proviene dai grandi impianti di combustione, seguiti poi dalla raffinazione, dai settori del cemento e dalle altre tipologie di impianti». Per questo, spiega Benedetti, la normativa si fa sempre più stringente in termini di riduzione delle emissioni.

Diverso invece il caso del settore non-ETS in cui contano più le politiche dei singoli Stati, che stanno diventando enormemente ambiziose. I settori non-ETS, ovvero quelli non coperti dalla normativa sullo scambio di quote di emissioni a livello europeo – vale a dire trasporti, civile, piccola industria, rifiuti –, debbono invece raggiungere un obiettivo insieme, a livello di Paese. «Nel 2021 il dato rilevato indicava che avevamo ridotto le emissioni di gas serra del 17% rispetto ai livelli del 2005. Ma ad oggi la novità di maggior rilievo è che, se nella regolazione precedente ai pacchetti “Fit for 55” e al REPowerEU l’obiettivo di riduzione italiano al 2030 era del 33%, con le nuove disposizioni questo numero è salito al 43,7%. Un’ambizione divenuta molto più alta» dice il responsabile di GSE, tanto più se si considera che «il settore non-ETS è il più problematico. Nello scenario che è stato sviluppato nella versione attuale del PNIEC, l’Italia dichiara che, con tutte le misure pensate per ridurre le emissioni e i consumi nei settori non-ETS e pur con tutto lo sforzo di essere maggiormente incisivi e ambiziosi nel raggiungere questi obiettivi, per il momento non siamo certi che riusciremo ad andare oltre il 35-37%».

Il problema, spiega Benedetti, è che nella versione definitiva del piano, che sarà consegnata a giugno 2024, non sarà possibile mantenere queste quote, in quanto il regolamento è obbligatorio e va rispettato. Per tale ragione si sta lavorando per arrivare, entro la prossima estate, all’elaborazione di un «set aggiuntivo di misure che possano permettere di essere più incisivi nella riduzione dei consumi e delle emissioni nei settori non-ETS. Tra loro quelli che incidono di più sono la piccola industria e soprattutto il trasporto e il civile».

Il target efficienza energetica

La seconda misura su cui il PNIEC insiste è l’efficienza energetica, in merito alla quale occorre fare riferimento alla nuova Direttiva UE 2023/1791, con cui il Parlamento e il Consiglio europei hanno modificato il regolamento UE 2023/955. Pubblicata 13 settembre 2023 – in Gazzetta Ufficiale il 20 settembre successivo con entrata in vigore venti giorni dopo – la nuova normativa sostituisce la direttiva UE 2012/27, in sostanza aggiornando e rivedendo gli obiettivi in base al pacchetto “Fit for 55”. Agli Stati membri dell’Unione viene chiesto di assicurare al 2030 complessivamente una riduzione pare al 11,7% del consumo energetico finale, rispetto a quanto previsto nel 2020 come target da raggiungere. Tradotto in milioni di tonnellate equivalenti di petrolio significa 763 Mtep sul consumo energetico finale dell’UE e 993 Mtep su quello primario.

Entrando nello specifico del nostro Paese, «per quanto riguarda l’efficienza energetica abbiamo due tipi di obiettivi da raggiungere» spiega Benedetti «uno sui consumi effettivi, ovvero sui valori assoluti dei consumi di energia al 2030, che si tratti di energia primaria o di energia finale; l’altro invece sui risparmi generati dalle misure di promozione, le cosiddette politiche attive». Per quanto concerne l’obiettivo da raggiungere sui consumi di energia, Benedetti prende come esempio l’energia finale: «nel 2021 avevamo 113 Mtep di consumi e circa 110 Mtep nel 2022, secondo il dato preliminare; lo scenario che abbiamo elaborato ci porterebbe nel 2030 a 100 Mtep, quindi a ridurre i consumi di 13 Mtep». In realtà, spiega, non è sufficiente, perché «quello che chiede la nuova direttiva europea sull’efficienza energetica è di arrivare tra 92 e 94 Mtep, quindi di essere ancor più incisivi sulla riduzione dei consumi. Le misure di efficienza energetica previste hanno al loro interno una forma di contabilità dei risparmi generati. Quindi non si tratta più solamente di valori assoluti dei consumi ma proprio di risparmi che sono imputabili alle diverse misure di supporto, per esempio i certificati bianchi, la cogenerazione ad alto rendimento, il conto termico, le detrazioni fiscali ecc. Ebbene, la somma cumulata dei risparmi generati da queste misure deve arrivare a 73 Mtep; un valore decisamente elevato». Per arrivare tra 92 e 94 Mtep nei prossimi mesi si dovranno necessariamente applicare misure ancora più incisive di quelle sino ad oggi adottate.

Per quanto concerne, invece, l’incremento di risparmio derivante dalle politiche attive di efficienza energetica, le soluzioni da adottare sono diverse: il Piano di transizione 5.0, il Prepac (Programma per la riqualificazione energetica degli edifici della pubblica amministrazione centrale), le campagne di informazione, il fondo di coesione, le misure del PNRR (Piano nazione di ripresa e resilienza) ecc. In questo caso, spiega ancora il responsabile GSE, «annualmente non è importante raggiungere gli obiettivi preposti per singole misure, ovvero se una misura viene cambiata ed è più efficace di quanto si pensasse, mentre un’altra lo è di meno, andrà bene comunque, l’importante è integrare».

I tre settori delle rinnovabili

Il terzo fronte di intervento del PNIEC per arrivare alla decarbonizzazione è rappresentato delle energie rinnovabili. L’Italia è arrivata nel 2021 a coprire il 19% dei propri consumi finali lordi mediante rinnovabili. Tuttavia, recependo l’obiettivo contenuto nella nuova direttiva sulle rinnovabili – Direttiva (UE) 2023/2413 del Parlamento e Consiglio europei datata 18 ottobre 2023 – lo scenario elaborato nel PNIEC indica che «dobbiamo arrivare almeno a soddisfare il 40,5% dei consumi finali mediante rinnovabili». Un salto enorme, afferma Benedetti, in quanto siamo intorno al valore del 19% da ormai sei anni, di conseguenza raggiungere entro il 2030 il 40% non sarà affatto semplice. Ed è un salto che implica un altrettanto enorme cambio di passo, «perché abbiamo a disposizione solamente sette anni; immaginiamo quindi quanto incisiva dovrà essere l’azione».

Occorrerà intervenire su più fronti: sulle rinnovabili nel riscaldamento e raffrescamento, nei trasporti e nel settore elettrico. «Quando si parla di rinnovabili, spesso il pensiero corre al fotovoltaico e all’eolico, ma in realtà, in termini di contributi in valore assoluto, le rinnovabili termiche contano quanto le rinnovabili elettriche. Ecco perché è un settore particolarmente importante su cui agire. Nello specifico, nel settore elettrico non c’è un obiettivo a livello comunitario. Nel PNIEC abbiamo stabilito di arrivare nel 2030 a un 65% di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili dall’attuale 36%. Per quanto riguarda i trasporti, dobbiamo arrivare a un numero molto elevato che è intorno al 30%, a partire dall’8% del 2021». Ma il dato forse più preoccupante è proprio l’obiettivo sul riscaldamento e raffrescamento: «dovremmo passare dal 20% dei consumi per riscaldamento e raffrescamento soddisfatto da rinnovabili a circa il 37%. Un traguardo molto ambizioso».

Analizzando poi i dati disaggregati in possesso del GSE per le rinnovabili elettriche «la grande aspettativa è riposta, in primis, nel fotovoltaico dal quale si attende un’impennata da 27 GW a 80 GW; in secondo luogo nell’eolico; mentre le altre fonti più o meno rimangono stabili». Tutte le azioni più incisive dei prossimi anni saranno quindi necessarie per far crescere l’installato.

Per quanto riguarda le rinnovabili nel settore termico, l’aumento dal 20% al 37% è impegnativo poiché, «mentre sulle rinnovabili elettriche il percorso è chiaro, ovvero occorre installare impianti a fonti rinnovabili, in questo caso il collegamento con le misure non è immediato. L’utilizzo delle rinnovabili termiche dipende anche dal clima, la maggior parte è costituita da biomasse, con la necessità di adeguare gli apparecchi all’uso di derivati per ovviare al problema di polveri sottili.

Il contributo maggiore è atteso, quindi, dalle pompe di calore per lo sviluppo delle quali ci vorranno politiche incisive; e in parte anche dal biometano, che una volta messo in rete, può essere utilizzato sia nel settore dei trasporti sia nel settore termico». Il biometano, sottolinea Benedetti, è considerato una delle pietre miliari su cui il Paese punta.

Per il settore dei trasporti «la maggior aspettativa è riposta sul biometano avanzato e sul fronte della mobilità elettrica. Si prevede di arrivare al 2030 a oltre 6 milioni di auto elettriche, di cui 4 milioni di elettrico puro».

Il ruolo dell’idrogeno

Nelle politiche di pianificazione per lo sviluppo delle energie rinnovabili, inizia ad affacciarsi con sempre maggior peso anche l’idrogeno. «La direttiva sulle rinnovabili dice che al 2030 il 42% dell’idrogeno utilizzato nell’industria dovrà essere di origine rinnovabile. E questo è un primo passo» afferma il responsabile. «Poi, per quanto riguarda i biocarburanti, un 1% dell’energia fornita al settore dei trasporti deve arrivare dai biofuel, quindi carburanti di origine biologia e a base di idrogeno. Infine c’è un 1,2% obbligatorio di utilizzo di carburanti a base di idrogeno sia per il settore dell’aviazione sia per il settore marittimo. Quindi, mettendo insieme tutti questi obiettivi e facendo i conti solo sullo sviluppo dello scenario energetico, al 2030 saranno necessari almeno 0,25 MW di idrogeno, di cui 390 ktep nei trasporti e 330 ktep nell’industria (figura 8). Per quanto riguarda nello specifico l’industria, la direttiva sulle rinnovabili stabilisce che al 2030 il 42% dell’idrogeno utilizzato dovrà essere idrogeno verde ovvero di origine rinnovabile». Questo dato, precisa Benedetti, è il minimo a cui si dovrà arrivare, ed è figlio delle ipotesi su quanti saranno i consumi dell’industria nel 2030 e quanto sarà l’idrogeno utilizzato a quella data. Ovviamente se si riuscirà a produrre quantità maggiori, tanto meglio. «Nel PNIEC abbiamo cercato di sviluppare stime di scenario e di potenziale che si confacessero agli obiettivi minimi, che sono già avanzati. Per soddisfare questo minimo» aggiunge «dovremmo installare almeno 3 GW di elettrolizzatori».

In definitiva, «nel periodo che intercorre tra ora e giugno 2024, quando si dovrà finalizzare il PNIEC per l’invio a Bruxelles della versione definitiva – lasso di tempo nel corso del quale riceveremo anche i commenti della Commissione europea – sarà necessario lavorare sia nell’essere più incisivi nei settori in cui ancora c’è un gap, ma soprattutto nell’individuare, in maniera sempre più dettagliata e con una certa sicurezza di efficacia, le misure necessarie per raggiungere questi obiettivi». Nel PNIEC sono indicate circa 200 misure, ricorda Benedetti, «però ancora non bastano per raggiungere gli obiettivi a cui dobbiamo arrivare».

I punti cardine del piano

Le strategie di intervento previste dal PNIEC (Piano nazionale integrato energia e clima):

– pianificazione integrata per accelerare i tempi e ridurre gli impatti ambientali della realizzazione delle infrastrutture

– forte connessione tra diversi ambiti: generazione elettrica, mobilità e altri consumi, ruolo attivo della domanda

– sinergia e integrazione di politiche e misure diverse per massimizzarne efficacia ed efficienza

– importanza delle scelte dei cittadini: finanziarie, comportamentali, informative, partecipazione alle comunità energetiche.