Cultura

I Musei della stampa e della carta oggi sono atelier dove formare i giovani

di Enrico Sbandi

In occasione della Giornata Nazionale dei Musei, intervistiamo il professore Giorgio Montecchi, presidente dellAIMSC. “Più che Museo, chiamiamolo atelier. Dal primo all’ultimo, oggi i nostri spazi che racchiudono la storia della stampa e della carta sono laboratori vivi, dove i giovani recuperano quel sapere che rappresenta l’anima del fare e del produrre”.

Parola di Giorgio Montecchi, studioso di bibliografia, docente all’Università Statale di Milano, alla guida dei Musei italiani della Stampa e della Carta come presidente di AIMSC, l’Associazione che mette assieme le più rappresentative realtà nazionali del settore.

La carta, mai come adesso, è il materiale del futuro: protagonista delleconomia circolare, nei piani industriali e di sviluppo del governo, al centro dellattenzione dei marketer e dei pubblicitari, di chi fa il packaging, di chi fa riscoperta culturale o di chi studia tecniche di apprendimento.

Come affronta questa nuova stagione di grandi prospettive un professore di Bibliografia e presidente dellAssociazione dei Musei della Stampa e della Carta?

“Una ventina di anni fa le cronache profetizzavano la ‘morte del libro’: lAssociazione nacque per salvare i valori di un mondo che stava cambiando completamente e rischiava di disperderli. Ci schierammo per recuperare la memoria delle tradizioni, del patrimonio intellettuale della produzione della carta, della tipografia con caratteri mobili. Per fortuna, è andata diversamente”.

Cosa è accaduto?

“È successo che la carta, il libro, la tipografia, hanno dimostrato al mondo di essere resistenti e innovativi piùdi quanto chiunque potesse sospettare. Abbiamo stretto la mano al digitale, proprio quando sembrava che dovesse stritolarci. I saperi storici hanno contaminato il progresso, la grafica, le esperienze mutuate dalla tipografia, la scelta dei caratteri si sono innervate anche nei processi di digitalizzazione”.

E voi avete operato il salto generazionale, avete puntato sui giovani…

“Esattamente. Grazie a loro i musei della stampa e della carta, nati per la salvaguardia, hanno spiccato il salto di qualitàe sono diventati laboratori. Sia chiaro, resta rispettata l’accezione tradizionale del termine, come luoghi della memoria operativa della nostra tradizione, della nostra arte e mestiere. Ma è stata arricchita con la nuova funzione di atelier: sia nel settore della stampa che della carta abbiamo reclutato e incentivato giovani che si sono dedicati a questo lavoro, trasformandolo. E qui s’innesca un secondo aspetto, di grande significato: quello dellinsegnamento”.

Musei come luoghi di formazione?

“Dalle scuole professionali è salita una richiesta fortissima verso i musei della stampa e della carta. Abbiamo dato vita a collegamenti con gli istituti, aperto le porte dei musei e messo in funzione le macchine con i ragazzi lì ad apprendere dal vivo come originariamente si produceva la carta. I piccoli musei – a volte aggregati a industrie che ritagliano una loro iniziativa specifica, altre volte sorti in autonomia – si sono trasformati in luoghi dove si insegnano ai giovani i fondamentali del lavoro. Esperienze positive ed entusiasmanti: una per tutte, quella sviluppata a Milano insieme con lIstituto Rizzoli che si occupa di formazione professionale nelle arti grafiche. Lì studiamo come passare ai giovani studenti questo testimone tecnico-storico-culturale, procedendo in collaborazione con le imprese, in risposta alle istanze che giungono anche dalle Associazioni come Assocarta e Assografici”.

A un presidente studioso di bibliografia è naturale domandare: esiste un legame fra il supporto, la carta stampata, e la cultura che essa veicola?

“Il filo rosso esiste, ed è rappresentato dal testo, che rappresenta il cuore del prodotto finale. Corpo e carattere danno forma e spessore ai contenuti. Nel manufatto c’è una relazione profonda e inscindibile fra il testo, la carta che lo supporta e la stampa che lo ha impresso. Sono elementi che, combinati fra di loro, determinano la fisicità del libro e riconducono alla nostra condizione di uomini, in quanto prodotti della nostra intelligenza operativa, sia del manufatto, sia del deposito culturale realizzato in esso mediante il testo. E la comunicazione risulta tanto più viva quanto più il supporto fisico è coerente con i contenuti: questa è larte dello stampare”.

Qual è il suo auspicio, all’insegna della rinnovata vitalità della carta?

“Penso innanzitutto ai giovani e ai valori. La speranza è che nelle nuove generazioni cresca sempre la capacità sia mentale che culturale di recepire la bellezza e la vicinanza di carta e stampa, strumenti tradizionali del comunicare, in modo da tenerli affiancati e non in contrapposizione con i nuovi strumenti della grande comunicazione. È importante sapere e trasmettere che c’è qualcosa di concreto, di fisico e di vicino, contrassegnato da un tipo di bellezza che deve restare concepita come tale. In questa direzione va declinato il concetto di museo, che non è statico, ma di partecipazione. Sono convinto che i giovani abbiano questa capacità di apprezzare. Saremo presto nuovamente con loro, nell’auspicabile rapida ripresa a pieno regime delle nostre attività, a partire dal congresso annuale dell’Associazione, in cui è abitudine recuperare i musei della stampa e della carta di una determinata area regionale per procedere alla loro valorizzazione”.