Certificati bianchi, agevolazioni per gli energivori, diagnosi energetiche. Tre strumenti diversi per raggiungere gli obiettivi europei di efficientamento energetico e aiutare i settori industriali a crescere. Durante il convegno Miac Energy si è discusso di questo e di come sia indispensabile farne una visione comune.
Del decalogo in dieci punti intitolato “Green New Deal secondo l’industria cartaria” i primi tre sono dedicati a uno degli aspetti più importanti per il mondo della carta: l’energia. Se ne è discusso al convegno Miac Energy 2019 condotto da Massimo Medugno, direttore di Assocarta. I primi due i punti riguardano la promozione della cogenerazione ad alta efficienza e l’uso del gas. La cogenerazione deve essere promossa perché è la migliore risoluzione tecnica al problema dell’approvvigionamento di energia termica ed elettrica all’interno di una cartiera, e perché è in grado anche di dare un contributo significativo alla stabilità della rete. Mentre il gas naturale va valorizzato come combustibile pulito per la transizione energetica; «è fondamentale sia per produrre carta sia per riciclarla» afferma Medugno «il 70% della capacità europea installata di riciclo utilizza il gas». Vi è, dunque, una stretta correlazione con l’economia circolare, tanto che «se non ci fosse il gas, il riciclo della carta probabilmente in Europa non si farebbe».
TEE: un sistema che funziona
Altro tema principe delle questioni energetiche del settore riguarda l’uso di misure già esistenti per l’efficientamento e il risparmio energetici, legati quindi a nuovi investimenti e alla promozione di tecnologie verdi. In realtà, sottolinea Medugno, il settore cartario ottempera a questi aspetti già da tempo con un meccanismo che ha tutte le carte in regola per potere essere efficace: il sistema dei certificati bianchi o titoli di efficienza energetica (TEE). Riconosciuto in tutta Europa come uno dei meccanismi migliori per attuare e migliorare l’efficienza energetica, è «un sistema che meriterebbe di essere rivisto, rilanciato e reso effettivamente accessibile alle aziende. Molto spesso il problema è proprio questo».
Cosa sia accaduto negli anni al sistema dei TEE lo spiega Elena Bruni di Confindustria che ricorda l’impegno dell’associazione nel proporre al Governo una riforma del meccanismo e conferma le parole di Medugno: «a livello europeo il sistema dei certificati bianchi ha sempre rappresentato una best practice» e ha funzionato molto bene fino a quando, un paio di anni fa circa, ha iniziato a mostrare un declino dovuto a un irrigidimento delle regole. «Di per sé non sarebbe stato grave» afferma Bruni «se non fosse stato fatto in corsa ovvero durante il funzionamento del meccanismo stesso, eliminando così i punti di riferimento e le certezze necessarie agli investitori». Tutto finito, dunque? Niente affatto, Confindustria è convinta che il sistema debba essere mantenuto e rivisto, tanto più che il 71% dei certificati deriva proprio dall’industria. Lo stesso Piano nazionale per l’energia e il clima (Pnec) «crede molto nel meccanismo, considerandolo il primo sistema incentivante utilizzato per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione».
Esigere regole stabili
Occorre però cambiarne i punti di riferimento. «Prima fra tutti la governance» afferma Bruni. «La soluzione migliore sarebbe lasciare in mano al Mise l’emanazione delle norme primarie e ad Arera – l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente – la regolazione del sistema, supportandone le attività con GSE ed Enea. Infine, il GME rimarrebbe la piattaforma commerciale la quale, però, dovrebbe poter promuovere l’uso dei TEE per raggiungere gli obiettivi preposti». Per farlo è necessario «aumentarne la liquidità, allargando il sistema a nuovi campi di intervento – come l’uso di energia termica da fonte rinnovabile e i recuperi termici – e consentendo il riconoscimento semplificato dei TEE con schede standard, tornando a promuovere non tanto l’innovazione quanto l’efficientamento». Negli ultimi anni è mancata l’offerta di certificati; le imprese hanno ridotto la presentazione di progetti, quando non hanno smesso del tutto di farne, sia perché non hanno più riscontrato certezza delle norme sia perché si sono viste rigettare progetti sino a poco tempo prima accettati senza problemi. Più volte si è reso necessario, da parte di Confindustria e delle associazioni di categoria, richiedere l’apertura di tavoli di confronto con il GSE, per spiegare le specificità di ogni settore.
L’aumento della liquidità, che consentirebbe quindi alle industrie di riprendere fiducia e di tornare a investire, resta una delle azioni principali da compiere.«Regole chiare e stabili, senza elementi di retroattività, e buoni incentivi sono gli strumenti migliori per spingere le industrie a investire in efficienza, facendo in modo che questa sia il primo elemento di business». Strumenti fondamentali diventano le Linee guida, che devono però essere rispettose delle realtà industriali rappresentate, quindi redatte sulla base di elementi e di dati certi e specifici del settore.
L’ultimo punto di proposta riguarda la partecipazione alla domanda e all’offerta. «I distributori, quali soggetti obbligati, devono tornare a fare investimenti e promuovere attività di efficientamento presso soggetti terzi – aspetto invece accantonato dal GSE – e non più limitarsi a comprare i titoli prodotti da altri progetti». Mentre sul fronte dell’offerta è in corso un’ipotesi «per la realizzazione, accanto all’attuale mercato spot – quindi alla piattaforma di acquisto dei TEE – di un sistema come un mercato a termine o, in alternativa, di un percorso basato sul ritiro da parte del regolatore dei certificati a un prezzo fisso per tutto il periodo di rendicontazione». Questa è una novità, spiega Bruni, ancora tutta in fase di elaborazione, ma che apre nuove prospettive.
Puntare a una visione comune
Di prospettive se ne aprono molte anche con i dati che emergeranno dalla presentazione delle nuove diagnosi energetiche – scadenza 5 dicembre 2019 come previsto dal D.lgs 102/2014 che ha recepito la Direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica. «Rappresentano un’opportunità per trarre informazioni che potranno poi essere adeguatamente sfruttate». Ad affermarlo è Domenico Santino di Enea, il soggetto istituzionale preposto dal decreto a istituire una banca dati, archiviare le diagnosi inviate dalle aziende, effettuare i controlli e le eventuali verifiche in sito.
Enea ha lavorato affinché le diagnosi fossero fatte in maniera strutturata e coerente, secondo un format stabilito sia nella struttura documentale sia nello svolgimento, un approccio poi riconosciuto in ambito europeo come una buona pratica. «Oltre alla standardizzazione della reportistica, con tanto di indice che desse indicazioni operative di come elaborare un rapporto di diagnosi e analizzare i flussi energetici in un impianto, abbiamo standardizzato anche la rendicontazione, un foglio di sintesi in cui inserire i parametri energetici rilevati durante l’analisi. Insieme alle associazioni di categoria abbiamo quindi realizzato Linee guida settoriali su come effettuare la diagnosi energetica». Gli indici di prestazione energetica che ne sono tratti però non devono essere confusi con baseline o benchmark. «Sono semplicemente numeri che emergono dai dati e che offrono un quadro della realtà così come rilevata dall’audit energetico e non elementi di riferimento».
L’emanazione del “decreto energivori” del 21 dicembre 2017 ha complicato ulteriormente il quadro. A Enea fu richiesto dal Ministero di produrre, entro fine luglio 2018, un documento in cui venissero forniti i parametri con cui determinare i cosiddetti “consumi efficienti”, in base ai quali calcolare gli sgravi sulla bolletta. Un primo passo, secondo Enea, per valutare poi i singoli casi che si presentano nella realtà del sistema produttivo, ma che nei fatti non ha avuto seguito. «È semplicistico pensare che una volta definita la baseline sia tutto risolto» dice Santino. A ciò si aggiunge il problema dell’aggiornamento degli indici, che deve avvenire ogni due anni, «per il 2020 li aggiorneremo in base alle diagnosi di quest’anno, ma nel 2022 bisognerà creare un meccanismo apposito che se ne occupi». È necessario quindi creare un sistema di comunicazione molto più snello e soprattutto capire che i diversi meccanismi «si devono parlare ed essere un tutt’uno: certificati bianchi – che necessitano di una baseline –, energivori, diagnosi energetiche ed eventuale meccanismo per gli utilizzatori del gas, devono avere una visione comune». In sostanza, conclude Santino, occorre ragionare ancora molto sull’intero sistema.