Scenari

L’industria cartaria nelle sfide globali

Il primo semestre 2023 della Federazione Carta e Grafica – dati in miliardi di euro e variazioni % sullo stesso periodo dell’anno precedente. Fonte Centro Studi FCG

Difficoltà politiche ed economiche stanno segnando il trascorrere di questi ultimi anni. Se non è possibile prevedere cosa accadrà nel futuro – anche quello più prossimo – è doveroso imparare da quanto accaduto e da quanto fatto sinora. Le imprese del settore cartario lavorano da anni ai temi poi divenuti importanti obiettivi internazionali, come la decarbonizzazione e la riduzione dei costi energetici. Occorre darle gli strumenti per consentirle di proseguire sul percorso sinora battuto, proteggendone la competitività.

il 2023 è finito e a voler tirare le somme dell’andamento degli ultimi mesi la prima considerazione da fare è la stretta attinenza della congiuntura 2023 con quanto accaduto negli ultimi anni. Sono stati anni difficili, in cui gli equilibri mondiali sono stati prima sconquassati da un’epidemia, i cui strascichi hanno poi messo a dura prova la tenuta economica di molti Paesi, poi aggravati da conflitti che, seppur circoscritti in alcune parti del globo, hanno avuto e stanno ancora avendo ripercussioni ben più ampie.

Il quadro geopolitico e quello economico hanno così finito per rendere più evidenti i punti deboli di ogni Paese e – come è ben noto – il tallone d’Achille dell’industria italiana, in genere, e di quella della filiera carta e stampa, in particolare, si chiama energia.

Un tema che non si deve limitare ai confini aziendali, ma che riguarda l’intero Paese e la tenuta della sua capacità competitiva. Se n’è parlato anche al convegno che si è tenuto a Lucca, a cura di Assocarta e Confindustria Toscana Nord, intitolato “La competitività dell’industria cartaria. Tra costi energetici e decarbonizzazione” che, moderato dalla giornalista Silvia Ognibene, ha aperto la tre giorni di Miac 2023.

L’energia che ci manca

Il momento storico che stiamo vivendo non è certo scevro da difficoltà: la guerra russo-ucraina, il danneggiamento del gasdotto tra Finlandia ed Estonia e la recente guerra in Palestina hanno portato, in momenti diversi, a un’impennata dei costi del gas naturale. «Abbiamo vissuto una sequenza di anni complicata e gli ultimi eventi potrebbero aggravare il quadro» ha commentato il presidente di Assocarta Lorenzo Poli «dobbiamo essere coscienti delle eventuali conseguenze». Al momento, precisa, l’allerta è ancora là da venire: l’approccio volumetrico della nazione è adeguato per gli approvvigionamenti, ma a destare preoccupazione è il «ciclo economico breve e rallentato» che si è innestato con la fase recessiva iniziata un anno fa con lo sgonfiamento della bolla post pandemica. «Ora la recessione e la diminuzione dei consumi mondiali sono da gestire».

L’industria cartaria italiana, spiega il presidente, è più in difficoltà rispetto a quella di altri Paesi e molto dipende proprio dal costo energetico.

Le stime del settore parlano di un costo del gas che nei primi sette mesi del 2023 è stato di 624 milioni di euro, un costo che ha inciso sul fatturato per circa il 12% – tra il 2020 e il 2022 l’incidenza del costo del gas sul fatturato è passata dal 4,2% al 30,2% – l’energia elettrica ha raggiunto, a settembre, un prezzo medio mensile di circa 116 euro/MWh – più alto rispetto a Francia, Germania e Spagna – mentre le quotazioni dei crediti di emissioni di CO2 nei primi mesi dell’anno si sono assestate su una media di 85 €/ton – i valori medi di partenza nel periodo 2019-2020 erano ben più bassi, ovvero 25 €/ton.

Tutto questo si traduce in un affanno della competitività delle nostre imprese o meglio, come afferma Poli, in una «apnea competitiva» che «diviene concorrenza sleale se consideriamo le aree extra UE, come Turchia, Asia e il continente americano, dove i costi energetici sono più bassi e le conseguenze del conflitto ucraino sono minime».

I dati e la resilienza del settore carta

I nostri punti di forza, tuttavia, ci salveranno. «Siamo forti e resilienti» afferma il presidente. Nonostante le difficoltà, l’industria di casa nostra ha continuato a investire pur nella difficile congiuntura che stiamo vivendo e «siamo ancora il secondo produttore europeo dopo la Germania» con il 10,2% dei volumi complessivi di carta prodotta in Europa e il 11,4% dei volumi europei di utilizzo di carta da riciclare. Mentre ci confermiamo al primo posto nella produzione di carta per l’utilizzo domestico e sanitario.

Non solo, eccelliamo anche in un altro dato, quello del riciclo di materiali cellulosici. «Il raggiungimento dell’obiettivo di riciclo del 85% per gli imballaggi in carta è ormai un dato consolidato, largamente in anticipo sulle scadenze europee» sottolinea Poli. Dopo i massimi storici raggiunti nel 2021, il tasso di circolarità si è collocato nel 2022 sul 62% mentre quello di raccolta è stato del 61,7%, dopo aver raggiunto il valore massimo del 70,8% nel 2020.

«Sono stati anni difficili ma siamo consapevoli che non si potrà andare avanti così».

I dati del settore dei primi sette mesi del 2023 parlano chiaro: la produzione complessiva è calata del 19,4% rispetto ai volumi dello stesso periodo dell’anno 2022 che si sono mantenuti sostanzialmente stabili e che aveva invece registrato un debole +0,6% sul 2021; anche la stima del fatturato – metà del quale deriva dall’export – parla di un calo del 24,5%, però sul valore in forte rialzo dei sette mesi 2022 che aveva registrato un +53,5% sui dati dell’anno precedente. Meno produzione, dunque, per via anche di una diminuzione della domanda interna di prodotti cartari: -18,5% nella prima metà dell’anno, rispetto al +11,9% registrato nello stesso periodo del 2022 sul 2021.

Entrando poi più nello specifico dei diversi comparti del mondo cartario, il segno meno accomuna la produzione di ognuno di loro. I dati dei primi sette mesi del 2023 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente parlano di un -15,6% per la produzione di carte e cartoni per imballaggio, con volumi di poco superiori al periodo pre pandemico; di un più contenuto -2,4% per le carte tissue e di un -43,8% per la produzione di carte per usi grafici. Quest’ultima risulta più che dimezzata rispetto ai volumi dello stesso periodo del biennio 2018-2019, ovvero del periodo pre-Covid-19, ed è riconducibile in sostanza alle riconversioni di impianti che si sono avute negli ultimi anni a favore della realizzazione di prodotti maggiormente richiesti dal mercato.

Spazio per investire e avere strumenti strutturali

Ciò che l’industria di casa nostra chiede è quindi di poter mantenere la propria competitività sia sul tema energetico, rispetto ad alcuni Paesi come gli Stati Uniti, sia su quello dei costi rispetto, per esempio, all’Oriente, anche in considerazioni degli obiettivi ambientali che ci siamo dati in Europa e che mostrano un’asticella posta a livelli sempre più elevati.

Al Governo il settore chiede che nei bilanci delle aziende sia lasciato lo spazio per poter investire, di perseguire quell’aggiornamento tecnologico continuo che l’ha sempre caratterizzato. «Siamo al massimo della sostenibilità sulle materie prime, utilizziamo molte materie prime riciclate e quelle vergini sono totalmente certificare, abbiamo sempre avuto il migliore approccio alla cogenerazione e quindi alla migliore produzione di energia, a basso impatto e a maggiore efficientamento. Pertanto chiediamo che ci venga permesso di investire».

Però per poterlo fare, sottolinea Poli, «c’è bisogno di strumenti strutturali che consentano di sostenere le imprese energivore italiane, soprattutto quelle del settore cartario che è il primo consumatore di gas del Paese. È essenziale una politica industriale che metta le aziende della nostra filiera nelle stesse condizioni competitive dei nostri concorrenti europei ed extraeuropei». Ed entrando più nello specifico espone le richieste al Governo dell’industria cartaria italiana ovvero: «una misura “ponte” come quella dei crediti d’imposta, una “garanzia assicurativa” verso altre di medio periodo» e ancora «non mettere in difficoltà le imprese energivore andando a modificare a ritroso i termini di utilizzo dei crediti di imposta 2023». Il riferimento, spiega, è «a una gas release, dedicata ai settori industriali – rispetto al quale è fondamentale rimuovere il cap previsto per legge – e a una electricity release, con la previsione di meccanismi che accelerino gli investimenti in decarbonizzazione. Inoltre, le risorse raccolte con le quote ETS devono tornare all’industria nella misura prevista dalle norme europee per finanziare la decarbonizzazione».

Obiettivi non penalizzazioni

Sulla questione decarbonizzazione e sulle difficoltà che le aziende devono affrontare per tradurre in investimenti concreti gli obiettivi di una transizione energetica non più rinviabile interviene anche Tiziano Pieretti, vice presidente di Confindustria Toscana Nord.

Ad oggi, il “Fit-for-55” – il pacchetto legislativo che mira a ridurre le emissioni di CO2 dell’UE del 55% entro il 2030 – prevede che nel giro di sei anni si decarbonizzi il 62% delle aziende in termini complessivi. L’impatto in termini globali, spiega Pieretti, sarà minimo se si pensa che l’Europa nel suo complesso pesa meno del 10% sulle emissioni globali e il manifatturiero europeo il 2,7%. Ciò significa che le misure previste da qui al 2030 avranno un impatto sulle emissioni totali del globo del 1,35%.

Perché la decarbonizzazione sia efficace, dunque, è importante che tutti se ne occupino, a livello mondiale, e che non si penalizzino le imprese che hanno lavorato in questo senso, agevolando chi sinora non ha fatto nulla. Negli anni l’industria cartaria si è data da fare, ancor prima che la decarbonizzazione diventasse un obbligo europeo, anche per la necessità di ridurre i consumi energetici e i costi a questi legati. Ora occorre consentirle di continuare su questa strada.

Nello specifico del territorio che rappresenta, Pieretti spiega che anche «il distretto cartario di Lucca e Pistoia risente, come tutto il settore a livello italiano, del gap dei costi energetici che penalizza le imprese nazionali. I forti investimenti effettuati negli anni dalle imprese lucchesi, in direzione della decarbonizzazione da un lato, del potenziamento dell’autoproduzione dall’altro, hanno portato risultati positivi, che ci stanno aiutando a gestire questa fase già complicata e probabilmente destinata a diventarlo ancora di più» dice. «Con l’aprirsi di un nuovo fronte di guerra è facile prevedere che i prezzi di gas ed energia elettrica, sensibilissimi alle crisi internazionali, possano vivere una nuova stagione di impennate. È fondamentale quindi che, a livello nazionale, venga fatto tutto il possibile per sostenere le imprese». E, facendo eco al presidente di Assocarta, cita i crediti di imposta, le gas release ed electricity release, il sostegno alla decarbonizzazione «anche attraverso i proventi ETS, maturati negli scambi di quote di emissione». E aggiunge «sarebbe importante anche consentire e normare adeguatamente le comunità energetiche per il settore industriale».

Tra le possibili leve competitive in grado di aiutare il settore cita lo sviluppo ulteriore delle energie rinnovabili – in primis fotovoltaico – con investimenti in infrastrutture idonee, l’uso delle biomasse, già fruttate con ottimi risultati in altri Paesi, e la tanto contestata termovalorizzazione dei rifiuti, tra cui anche gli scarti di pulper e i fanghi che derivano della depurazione delle acque di cartiera, che consentirebbe la generazione di energia da questi materiali. È indispensabile, afferma Pieretti, decarbonizzare facendo innovazione tecnologica non solo di stabilimento, ma di rete e cambiando il paradigma con cui sinora abbiamo considerato la produzione e l’uso dell’energia, incoraggiando la creazione di comunità energetiche e l’implementazione del concetto di “prosumer”, in cui produzione e consumo si fondono nello stesso soggetto. «Quello dell’energia» dice in ultimo «è un capitolo troppo importante per trascurare le opportunità che ci sono: non possiamo permettercelo da nessun punto di vista, né economico né ambientale».

Il punto di GSE

Che il fabbisogno di energia elettrica e termica rivesta un ruolo determinante nella gestione e mantenimento di competitività dei processi produttivi è sottolineato, durante il congresso, anche da Paolo Arrigoni, presidente del GSE. È necessario tutelare la competitività delle imprese trovando un modo per produrre e distribuire energia in modo stabile e a bassi costi. La situazione non è facile e l’Italia deve affrontare maggiori difficoltà rispetto ad altri Paesi europei. Il gap con Francia e Germania, ricorda Arrigoni, è sempre più ampio, se nel periodo pre-Covid era del 15%, ora è salito al 30%. Senza contare che l’Italia soffre anche di una condizione di dipendenza per quando riguarda l’approvvigionamento energetico: oltre il 70% dell’energia che utilizziamo ha provenienza estera, il che significa essere dipendenti dai Paesi da cui la importiamo anche politicamente.

Certamente la transizione energetica è importante e deve essere compiuta, ma è necessario che sia affrontata su più fronti. «È un momento molto delicato per l’Europa» che si è posta obiettivi di neutralità ambiziosi per contenuti e tempistiche, «ma in particolare per l’Italia che vive di un mix energetico limitato e di un costo dell’energia superiore, e questo delta è persino aumentato». Tutto ciò, per altro, in un quadro che i conflitti in Europa e nel Medio Oriente rischiano di aggravare ulteriormente.

L’obiettivo di GSE è di continuare a promuovere la sostenibilità, gestendo gli incentivi per l’energia. In quanto all’industria cartaria, Arrigoni riconosce che il settore «ha sempre prestato massima attenzione all’efficienza dei processi sotto il profilo energetico» e per questo, dice, il gestore lo supporta «con l’erogazione di incentivi sia lato produzione, attraverso la cogenerazione, sia lato utilizzo con progetti di efficienza energetica».