Acqua

Trattamento acque: l’avanguardia del mondo carta

La capacità delle industrie del settore cartario di trattare adeguatamente le acque in ingresso e in uscita al processo si è affinata nel corso degli anni, richiedendo attenzione non solo all’aspetto ingegneristico, ma anche a quelli ambientale e normativo.

Abbiamo intervistato sull’argomento Giuseppe Cima, AD di Cartiera dell’Adda.

Argomento, per l’industria di settore, «tanto delicato quanto attuale». È così che Giuseppe Cima, AD di Cartiera dell’Adda, definisce il sistema di trattamento delle acque derivanti dalla produzione di cartiera, che sta vivendo un periodo di rinnovato sviluppo. «Il settore “depurazione” ha conosciuto, sul nostro territorio nazionale, una crescita intensa negli ultimi vent’anni» spiega quando gli chiediamo di raccontarcene lo stato dell’arte. «L’ingegneria raffinata che è alla base della progettazione, oggi, vive anche in Italia un florido sviluppo. Si pensi che sino a vent’anni addietro solamente il nord Europa aveva maturato conoscenze e tecnologia all’avanguardia per la depurazione».

L’industria di casa nostra vanta ormai un’esperienza degna di nota. «L’Italia possiede un grande patrimonio ingegneristico che oggi investe molto nel settore dell’impiantistica dei sistemi di depurazione» prosegue Cima. «Certo è che abbiamo molto ereditato dall’industria nordeuropea, circostanza questa che garantisce un passo tecnologico all’avanguardia e un know-how eccellente. Anche in Italia, infatti, le tematiche ambientali e l’ecosostenibilità sono al centro delle politiche industriali». Un esempio arriva proprio da Cartiera dell’Adda, l’impresa che l’AD guida e che conosce meglio. La cartiera – seguendo una politica per altro in linea con il Gruppo PBA spa a cui appartiene – si è dotata da tempo di un Comparto interno SSAQ con un Ufficio Ambiente autonomo e dedicato. «La specializzazione e l’alta competenza hanno permesso di progettare e realizzare partnership di grande pregio scientifico, collaborando a stretto contatto con le imprese produttrici di impianti di depurazione da noi scelte» dice Cima. «Questo ci ha consentito di ottenere un sistema unico, ah hoc per il nostro sistema produttivo e ad alto rendimento».

Sensibilità, produttività e leggi

Ma non è solo una questione di capacità ingegneristica; lo sviluppo nel settore depurazione è dovuto a più fattori. «Nell’ultimo ventennio» aggiunge l’amministratore delegato «si è sviluppata una sempre maggiore sensibilità in campo ambientale che ha portato il mondo cartario a coniugare una produttività eccellente con un sistema industriale sempre più ecosostenibile. A ciò si aggiunga che l’iter autorizzativo, di cui alla normativa D.lgs 152/2006 AIA/IPPC, è presieduto da enti competenti – Arpa Locale, Provincia e Regione – che dialogano con l’azienda con sempre maggiore competenza, anche per quanto attiene al settore della depurazione. Le istituzioni, quindi, vanno così assumendo un ruolo sempre più strategico capace di trovare il giusto equilibrio tra la stringente normativa nazionale ed europea, in merito alle matrici ambientali, e un sistema imprenditoriale di qualità».

Visione extra nazionale

Il livello della tecnologia impiegata in Italia nel trattamento acque è elevato e vi è una grande disponibilità di conoscenza tecnico scientifica in merito, ma non è mai mancato il confronto con altri Paesi. «La necessità di migliorare le proprie prestazioni ambientali ha spinto l’industria italiana a guardare oltre confine per cercare nuove tecnologie interessanti» afferma Cima. «Nel 2006 Cartiera dell’Adda ha installato un nuovo impianto di depurazione Aerobico per prima in Italia basato su tecnologia straniera. Oggi questa tipologia di impianto è largamente diffusa nel nostro Paese, non solo tra le industrie cartarie. All’industria italiana è sicuramente mancato un sistema seriamente incentivante alla riduzione dell’utilizzo delle acque. Conseguentemente le tecnologie che meglio servono in situazioni di volumi ridotti sono state sviluppate in Paesi dove le normative hanno maggiormente favorito tale ricerca».

Parlando di tecnologia si cita spesso la chiusura dei cicli: chiediamo all’AD quanto sia davvero fattibile e quali difficoltà comporti. «Discutere oggi di “chiusura dei cicli” parrebbe quasi dissertare di utopia» ci dice «posto che lo stato dell’arte dello sviluppo scientifico/tecnologico, nonché della normativa di settore e recenti studi di fattibilità, danno contezza di un sistema difficile da realizzarsi. La ragione di tale difficoltà risiede soprattutto nella carenza di sostenibilità ovverosia pensare un sistema di approvvigionamento di acque in maniera ridotta, dotato di sistemi di riciclo altamente tecnologico, produce inevitabilmente scarsa salubrità degli ambienti di lavoro, aumento della salinità delle acque con conseguente ammaloramento dei sistemi impiantistici; il tutto aggravato da un aumento delle emissioni odorigene di arduo abbattimento, nonché di maleodorante prodotto finito».

Non solo. Cima aggiunge che «la stessa normativa europea in materia di BAT, recepita anche in Italia, fissa dei limiti ben lontani da un sistema puro – totale – di chiusura dei cicli, ciò a significare come il passo tecnologico e normativo sembri ancora lontano dalla realizzazione di un sistema di totale autonomia di approvvigionamento e riutilizzo interno delle acque».

Limiti da rispettare

Un tema delicato per le cartiere è il rilascio in ambiente delle acque non recuperate. I vigenti limiti di legge per gli scarichi di acque reflue industriali – in fognatura, acque superficiali, suolo o sottosuolo – sono stringenti, precisa Cima, ed è particolarmente «intenso e pervicace» anche il monitoraggio effettuato dalle Arpa Regionali. «Le maggiori criticità, dunque, risiedono nella continua ricerca delle migliori tecnologie per il contenimento entro i limiti normativi; talché è evidente come il sistema di depurazione abbia il ruolo principe nel sistema industriale e produttivo. La normativa nazionale – Testo Unico Ambientale (D.lgs 152/2006) –, che già prescrive limiti emissivi valutati quantitativamente per le acque reflue, è stata arricchita dalla Direttiva 2010/75/CE (Direttiva IED) che introdusse valutazioni anche maggiormente stringenti – note come BAT/AEL sulle migliori tecniche disponibili. La Regione Lombardia dal 2017 ha aperto dei tavoli di discussione con le parti – le industrie cartaie – e associazioni di categoria – Assocarta – con il fine specifico di discutere le criticità del sistema, coinvolgendo direttamente le imprese nei progetti normativi. Questa dialettica, pare di poter affermare, saprà di certo supportare le scelte del legislatore, veicolandole nel senso più vicino alla realtà produttiva».

In riva al fiume

Cartiera dell’Adda si trova a Calolziocorte, in provincia di Lecco. Il suo sistema di depurazione acque – di cui lo stabilimento lecchese è dotato da circa trent’anni – è caratterizzato da due step: un sistema primario anaerobico e, di seguito, uno aerobico, che ne implementa l’efficienza e permette nel contempo di reperire una fonte autonoma di biogas. Tutto questo, spiega Giuseppe Cima, rientra nella visione di un «sistema di economia ciclica a basso impatto».

Il sistema di depurazione della cartiera, oltre a essere aggiornato con cadenza almeno biennale, è sottoposto a continue verifiche e controlli. «Presidiato h24 da un pool di tecnici specializzati, è stato dotato di un sistema di autoanalisi in continuo, volto alla verifica delle matrici emissive oltre alla previsione di controlli analitici giornalieri nel laboratorio interno» racconta l’AD. «Le ottime prestazioni dell’impianto, unite alla cura intensa del personale e dei progettisti, hanno permesso all’azienda di ottenere risultati di livello ragguardevole, sia per la produzione sia per l’abbattimento delle emissioni». Un impegno ancor più sentito per la cartiera che, essendo situata sulle sponde del fiume Adda, all’interno del territorio del Parco Naturale dell’Adda Nord e quindi in zona di interesse comunitario (SIC), è sottoposta al rispetto di limiti per le matrici ambientali aggravati. Un impegno che, spiega l’AD, l’ha portata a riuscire a coniugare la produttività industriale con il rispetto dell’ambiente e della comunità urbana in cui è inserita.